Appuntamenti a Milano e provincia

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domenica 17 gennaio 2010

Milano Strike Out chiude





Non voglio usare troppe parole inutili.

Dopo tre anni di vita Milano Strike Out si mette in stand by. Non chiude ma semplicemente si mette in pausa per vedere se mai ritornerà la voglia di scrivere per un movimento, quello meneghino e dintorni, con il quale negli anni abbiamo voluto dialogare con risultati a volte buoni e a volte poco confortanti.

Mi sento comunque in dovere di ringraziare i nostri pazienti lettori che negli anni non hanno mai dimenticato di passarci a trovare sia sul web sia con una bella stretta di mano quando ci si vedeva alle partite.

Grazie per tutto quello che mi avete dato con la speranza di aver dato anch’io qualcosa in cambio.

Ci si vede comunque sugli spalti.
Semper chi a guardà la baleta.

Un saluto

Francesco

martedì 10 novembre 2009

Taca la baleta - novembre

United e il futuro di Milano




Come da titolo. Lo United ha deciso il proprio futuro e il proprio futuro ha la forma della Serie A Federale (per chi non fosse avvezzo, diciamo, un mix tra squadre della Serie B e squadre della Serie A2 che non rientreranno nel progetto piramidale della franchigia IBL).

Accogliamo con felicità quella che pensiamo essere la giusta posizione, odiernamente parlando, per il baseball milanese. Dopo due anni di tentativi andati male di stare nella Serie A2 è il caso di abbassare il mirino e concentrarsi sulla rinascita di un movimento, dalle giovanili agli spettatori, dall’unità con altre squadre della zona fino al rimodellamento globale del baseball meneghino.

Quello che mi sento personalmente di non condividere è invece l’occhio verso l’estremo futuro: portare la IBL a Milano solo sulla carta (o nei sogni) avrebbe senso.

Perché nessuno può negare che una Milano nel cesto delle migliori sarebbe perfetta come cosa, ma non dimentichiamo che potrebbe essere troppo per un territorio al quale non interessa proprio il campionato professionistico di baseball.

Infatti se in una Serie A Federale cinquanta, sessanta, ottanta persone sugli spalti è già grasso che cola, in un contesto IBL sarebbe molto ma molto deprimente. E qui sarebbe da mettere in campo tutta l’umiltà che abbiamo nelle vene ponendoci una domanda che dovrebbe prima guardare alla nostra milanesità, intesa come senso civico.

Avrebbe senso spendere milioni di euro tra stadio, campo, formazione di professionisti stranieri (perché la IBL solo così si affronta) per una città di milioni di persone che alle partite si presenta in un numero non superiore al centinaio?

L’immagine è chiara: si spendono milioni di euro per 100 spettatori (ad oggi nemmeno paganti).

E allora questo non ci piace. Se Milano risponde con il numero “100” noi dobbiamo rispondere con un movimento che si adegua, che abbandona i grandi progetti e che punta in basso solo però per non deprimersi ma per fare il meglio con ciò che ha.

Sennò, sportivamente e strutturalmente, si rischia di costruire vere e proprie “cattedrali nel deserto” per un pubblico che fa fatica addirittura a frequentare le piccole “parrocchie” che già ci sono.

In riassunto: apprezziamo la volontà di puntare oggi in basso e speriamo che (a meno che non esploda la febbre del baseball a Milano, ma dubitiamo) non si ceda al fascino di tre lettere della quale ora come ora (ma pensiamo anche in futuro) la città di Milano non sa che farsene.

Accontentarsi e fare il meglio con ciò che si ha.
Le due parole d’ordine.




Vengo anch'io...





"Vado giocare a San Siro"
. Questa frase ha riempito di lucentezza gli occhi di un bambino, uno dei tanti che saranno invitati allo Stadio Meazza per le amichevoli delle squadre giovanili prima della mega sfidona con la nazionale degli All Blacks.

Ovviamente, stiamo parlando del rugby.

Perchè a Milano la Scala del Calcio si apre per i concertoni, si apre per le riunioni religiose cittadine, si apre per i grandi campioni del rugby nazionale ed internazionale. Di certo non per il baseball. E poi basta.

E poi basta perchè l'invitato speciale del 14 novembre sarà proprio lo sport della palla ovale. Uno sport che secondo l'Assessore Rizzi sta macinando successi soprattutto per quanto riguarda il pubblico.


Per Milano è un grande onore ospitare a San Siro la prima delle tre partite della Nazionale. I biglietti sono già stati tutti venduti e la città è pronta ad accogliere con tutto il suo pubblico questo grande momento di sport”. “Negli ultimi anni – ha aggiunto Rizzi – il rugby sta diventando sempre più popolare in Italia, proprio grazie alle imprese della Nazionale. Il successo di questo sport contribuisce a diffondere i valori di lealtà, correttezza e rispetto degli avversari, valori che sono condivisi dai giocatori in campo e dai supporter sugli spalti. Questo è un esempio positivo per le nuove generazioni di sportivi e tifosi che mi auguro possa essere trasferito anche ad altri sport.


Ce lo auguriamo anche noi.
Per la cronaca: San Siro è tutto esaurito.
E il baseball dov'è?

lunedì 9 novembre 2009

Varie ed eventuali - novembre


Un Caronno da record





Ogni modo per farsi vedere è lecito.

Da un piccolo centro lombardo arriva una proposta che giriamo con solerte decisione. I ragazzi del Caronno hanno in progetto di entrare in quel librone che si chiama The Guinness Book of Records arrivato all'edizione della prima decade nel nuovo millenio.

Messo da parte il primato per i mangiatori di scarafaggi e quello della squadra più obesa del mondo ecco che l'idea è stata ridimensionata sul più divertente record della partita di softball più lunga del mondo.

Se si diceva negli anni '80 che il limite era il cielo, questa volta l'obiettivo è un pelino più basso, ma non troppo: centoventi ore consecutive.

La partita dovrebbe tenersi presso il campo di Caronno dalle ore 20 di martedì 1^ giugno 2010 alle 20 di domenica 6 giugno 2010 e i partecipanti avrebbero vitto e alloggio in loco gratuiti per tutta la durata della gara, usufruendo anche del supporto logistico degli alpini e della protezione civile.

Vi abbiamo acceso lo sfizio?
Avete il fegato e la simpatia adatta per la sfida?

Bene, se la risposta è affermativa potete iscrivervi grazie all'apposito form che si trova sul sito dei ragazzi del Caronno.

E vediamo se si entra in quel libro.
Un libro e una sfida da guinnes!!!

venerdì 2 ottobre 2009

Taca la baleta - ottobre

Milano città: abbandonata?


L'ex campo Giuriati in zona Lambrate



C’erano una volta ragazzi
che con un guanto in mano e una mazza sulle spalle uscivano dalla metropolitana di color grigio verdognolo per dare vitalità ad un fazzoletto d’erba schiacciato tra le case alte del quartiere di Lambrate e la ferrovia.

C’era una volta e oggi non c’è più. La burocrazia dello sport di Milano oramai ci ha abituato alla nebulosa comprensione delle sue scelte. Ma qui non parleremo di carte bollate, di incontri con assessori o di file agli sportelli.

No, parliamo di scelte “nostre”, parliamo di visibilità, parliamo di quella visibilità che ora come ora può diventare l’unico biglietto da visita per uno sport che mai come oggi sembra relegato nel dimenticatoio di una città che invece in passato ha fornito delle grandi soddisfazioni al movimento.

Il tutto parte da una cosa che ho potuto notare: nessuno capisce le regole del baseball, nessuno si interessa di baseball, ma tantissimi si fermano alle reti di recinzione per osservare quegli strani guantoni, quelle strane mazze di legno e quello strano gioco visto solo nei film in televisione negli stanchi sabato pomeriggio stravaccati sul divano.

La gente si arresta, ma non si ferma. Questo è il punto. Purtroppo, come già più volte è stato detto su queste pagine, bisogna comunque accontentarsi e continuare quantomeno a stuzzicare l’attenzione dei passanti, dei curiosi, di quei genitori che portano a spasso i figli e si fermano per tentare di spiegare ai bambini ciò che loro avevano imparato magari tanto tempo fa.

E allora quest’occhio lanciato lì, quella curiosità accennata, vogliamo promuoverla?
Premessa: non siamo qui per mettere sul banco degli imputati qualcuno. È però giusto portare alla luce delle piccole e forse insignificanti parti di realtà meneghina.

Siamo chiusi in noi stessi. Che sia il Kennedy, che sia il Saini, la storia è la stessa. Il baseball ha creato i propri feudi praticamente autosufficienti. Si gioca lì, ci si allena lì, lì si allenano anche tutte le giovanili e lì anche se ci sono le ragazze del softball. Addirittura quasi tutte le squadre amatoriali di Milano si concentrano in un solo posto (in quel di Baggio, manco fosse la nuova piazza Duomo).

E allora ecco che un piccolo fazzoletto di terra in quel di Lambrate potrebbe essere una benedizione per un baseball giocato al riparo da occhi indiscreti, occhi che invece potrebbero portare una rivoluzione rionale, di quartiere, insomma dal basso.

C’è bisogno di quei vecchietti con i nipoti che quasi incastravano la testa nella recinzione del Giuriati pur di vedere quello sport che ora sembra ignorato dalla popolazione. Abbiamo bisogno che la porticina del Saini, quella che apre sul parco, sia costantemente aperta durante la partita per permettere ai molti curiosi di sedersi sugli spalti, fare domande, informarsi per eventuali corsi.

Il Milano 1946 dovrebbe non solo schiacciare l’acceleratore della progettualità nella zona estremamente periferica di Baggio. Anche il centro di Milano o le zone a lui limitrofe possono essere parte del futuro del Movimento. Insomma, riprendersi la città e non traslocare sempre di più verso la provincia.

Il baseball dello stivale è nato a Milano. E noi siamo milanesi. Non dimentichiamocelo.




Milano: si stava meglio quando si stava peggio?


La povertà e il baseball - Avana, Cuba



Si fa tanto parlare ultimamente delle sorti del movimento. Ovunque si pongono alla sbarra degli imputati i risultati delle ultime mosse del baseball italiano e poi gruppi di scrittori in erba più o meno professionali giudicano il tutto vestititi, come direbbe Fantozzi, con un togone da magistrato ricavato dalla Pina da un vecchio abito vedovile della nonna, parruccone bianco da giudice inglese fatto con lana da materasso, bilancia a due piatti presa in prestito dall'erboristeria all'angolo, mazzuolo batticarne.

Questo non per prendere in giro il pensiero che copioso imperversa sulle pagine di siti e blog. No, questa volta anche i frizzi e i lazzi possono spalancarci alla verità della metafora. Una verità semplice: all’incontro con il Grande Baseball, come il nostro amato Bambocci con la Giustizia, ci presentiamo sì sinceramente infervorati ma alle volte fuori luogo.

Del concetto generale del “fuori luogo” ne avevamo già parlato a proposito del rapporto esistente tra cultura italiana e cultura del Batti E Corri. Ora è arrivato il momento di guardare più precisamente in casa nostra per farsi un po’ i conti in tasca.

Milano è il baseball: un rapporto chiuso dal solo amore meneghino per ciò che succede al Meazza.

Verità?
Mezza verità?
Falsità dietro la quale è comodo trovar riparo?

Bene, ora giochiamo a fare sommariamente (perché ovviamente non abbiamo dati certi) i conti in tasca alle due maggiori realtà di baseball a Milano.

Partiamo dalla corazzata United. Partiamo da quanti (tanti, a quanto pare) soldi servono per navigare nei lidi della A2. Domanda sincera: necessitano?

Perché spendere ingenti somme per rischiare di venir retrocessi o per comunque fermarsi massimo a metà classifica?

Perché spendere ingenti somme per una cosa che è semplicemente un divertimento di sole diciotto partite, delle quali solo nove sono giocate a beneficio del proprio territorio e che al massimo contano una cinquantina di spettatori ad appuntamento?

Con quei soldi spesi e quei risultati una compagnia teatrale, un musicista o qualsiasi altra entità che ha a che fare con il rapporto tra soldi investiti/soldi ricavati/risultato avrebbe quantomeno ridimensionato i propri obiettivi.

Adesso che abbiamo capito che non serve mettere insieme più squadre per rimanere in A2, perché non risparmiare, giocare nella Serie che si può con il minimo sforzo economico e gettare nella squadra i giocatori che da sempre e in tutti gli sport costano di meno, cioè i ragazzi delle giovanili?

Mi si dirà: eh, ma così alla fine retrocediamo.
E io dirò: beh, allora facciamoci ripescare in A2 e continuiamo a spendere soldi senza averne un ritorno.

Stessa storia, con una spesa inferiore, per l’altra parte del naviglio.

L’Ares, accantonando pressioni psicologiche di sopravvivenza in Serie B che oramai vanno avanti da due anni, mettendo da parte la necessità di trovare grandi prospetti per una rinascita, accantonando anche lei la ricerca del pecunio che comunque anche in Serie B viene richiesto, perché non mette insieme una bella squadra competitiva di Serie C (usando anche già la sua formazione di categoria)?

Perché andare avanti a spendere per stare in Serie B e racimolare i risultati che si sono visti fino ad adesso?

Perché non stazionare in Serie C, lavorando sulle giovanili, per poi aspettare il momento propizio (se mai arriverà, sennò pazienza) di fare un salto agonistico ed economico motivato?

In poche parole, perché anche qua a Milano ci sentiamo in dovere di metterci (non solo chi giudica allora) il parruccone della nonna di fantozziana memoria per rincorrere a tutti i costi (e sottolineo “costi”) un ruolo che facciamo fatica a interpretare?

Perché non si torna alla parola “semplicità”? Perché non si tenta di ritornare volontariamente a quella “povertà” che contraddistingueva il movimento meneghino degli inizi?

Perché il grande periodo di Milano (quello del ‘grande senza dover spendere miliardi’, ovviamente) è coinciso con i campetti contesi con le porte di calcio, o dei prati improvvisati tra le vie della città (guarda caso lì il pubblico c’era)?

Forse un ritorno alla povertà ci farebbe bene.
E credo anche, ma non solo, al nostro portafoglio.




Milano: la militanza che fa bene






Ci sono persone che perdono tempo vaticinando la prematura scomparsa del Senago-Milano United (dato morto, per la cronoca, ha vinto il Trofeo Gigi Cameroni, un miracolo evidentemente) e ci sono altre che nel silenzio lavorano per spargere in ogni modo, sul territorio di Milano, il seme della buona novella.

Questo è il caso di molti, ma anche di uno: Giuseppe, nostro carissimo lettore, è riuscito ad introdursi in una discussione aperta da Beppe Severgnini sul Corriere.it e a portare in modo del tutto subliminale l'argomento del baseball alla ribalta (contro lo strapotere italico del calcio).

Eccovi il pezzo:

Caro Beppe,
il discusso doppiaggio dei film stranieri da un lato consente una certa comodità e un qualche fascino alla visione nonché il mantenimento di tutta un’industria specifica, dall’altro lato, con l’impedire l’alternativa della versione originale con sottotitoli, non facilita l’auspicata divulgazione delle lingue straniere, in particolare l’inglese. Un doppiaggio dovrebbe comunque rispecchiare lo spirito intrinseco delle vicende e dei sentimenti trattati, evitando traduzioni troppo letterali, senza nel contempo alterare con arbitrarie libertà aspetti esteriori facenti parte integrante della realtà di sfondo di un film. Uno dei cattivi esempi di tutto ciò è riscontrabile nel film “Matrimonio a quattro mani”, edizione italiana di “It takes two” andata in onda di recente in Tv. La trama della commediola si svolge in un contesto prettamente americano in cui il “national past-time”, il baseball, è presente come sottofondo non di certo irrilevante anche ai fini dello spirito delle vicende e dei sentimenti espressi, con tanto di esplicite correlazioni mediante anche varie inquadrature. Due dei protagonisti, tuttavia, nella versione italiana in più occasioni, per esprimere la loro eccezionale soddisfazione interiore, si paragonano a un attaccante che, superando l’ultimo terzino, batte in modo determinante il portiere avversario nell’ultimo minuto della finale del Campionato del mondo di calcio: peccato che la versione originale parli coerentemente invece di World Series di baseball e di esaltante "fuori campo" al termine dell’ultimo inning della partita decisiva. Non resta che sperare, nell’attuale mondo internazionalizzato, in un doppiaggio che almeno non sia provinciale e all’amatriciana, ma che rispecchi il più possibile l’atmosfera di riferimento senza ricordare un’autarchia che osava chiamare il cognac “arzente” e il cocktail “bevanda arlecchina”, per non dire di testi e titoli musicali, come “Tristezze di San Luigi” al posto di “St. Louis blues".

Voi direte, non c'entra proprio nulla con il baseball a Milano. Vi potrei dare ragione se non che un mare è formato da tante gocce e una è preziosa quanto le altre. Se poi oltretutto è gustosamente subliminale (leggasi, ti parlo di baseball anche in altri ambiti) e simpatica nella sua forma, perchè lamentarsi?

Viva Giuseppe allora.
Viva chi spinge le gocce tentando di fare un mare.





Una Milano che torna sul podio


Una fase della sfida finale



Un terzo posto che vale oro.

Dopo anni di assenza dai grandi palcoscenici ecco che una formazione targata Milano 1946 è salita sul podio di una finale dal gusto nazionale: le ragazze del softball portano a casa un bronzo che, vista la situazione meneghina, sa veramente d'oro.

Ma vediamo d'entrare nell'azione proprio tramite il racconto del manager (Ozy) che ha guidato la squadra a questo splendido risultato. Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Le Ragazze del softball del Milano 1946 hanno confermato ieri a Sala Baganza il piazzamento raggiunto con i playoff, ottenendo il terzo posto nella sfida finale per lo scudetto 2009 contro Bollate (vincitrice) e Sala Baganza (argento) e superando Nettuno che si è ritirata dalla finalissima. Le partite della giornata di finalissime, giocate in uno splendido impianto con una cucina e un'ospitalità cordiale e efficiente degne della tradizione parmense, hanno visto prima un "cappotto" del Bollate al Sala Baganza (10-0), poi una sfida tiratissima fra le nostre ragazze e il Sala Baganza (un inseguimento da 4 a 0 a 8 a 5), e infine una chiusura fra Bollate e Milano46 vinta dal Bollate 13 a 2.

Il commento tecnico è molto semplice, dopo l'ampia analisi che avevamo fatto dopo le semifinali:
la cocciutaggine, la disciplina e la continuità mostrate dalle ragazze del Milano nella fase finale della stagione e nella (tardiva) preparazione di settembre hanno portato a un risultato insperato, mettendo la squadra nelle condizioni di giocare contro compagini che hanno sempre giocato ai massimi livelli.

L'eccezionalità di questo risultato, unico nella storia recente del Milano, va sottolineata ancora una volta, e ne va dato atto alle ragazze.
Se c'e' una lezione da trarre (con un pizzico di rammarico) è che il lavoro paga, e che a nessuno che si alleni e voglia vincere è precluso arrivare a un passo dallo scudetto: Bianca, Marzia, Chiara, Alice, Nina, Marta e Maryezis ci sono arrivate. Per arrivare poi a mettersi quello scudetto sulla casacca, ci vuole qualcosa in più. Alle semifinali, mettere la palla nei paraggi del piatto e non sventolare a vuoto i numerosi ball delle lanciatrici avversarie era bastato.

Evidentemente non sarebbe bastato in una finalissima.
Arrivati questi livelli, era inevitabile vedere i limiti della nostra squadra: la formazione dei lanciatori e dei ruoli più "tecnici" (catcher, prima base, interbase) richiede un vivaio ampio, una dedizione all'allenamento, e uno staff tecnico che la nostra squadra non aveva a disposizione, e il roster limitato ha costretto a ricorrere all'aiuto dei Ragazzi, bravissimi (bravi e coraggiosi Claudio e Pablo finiti in infermeria, bravi e meno sfortunati Domenico e Guly), ma non addestrati allo "stile softball" (soprattutto: tecnica della rubata, bunt, e velocità dei lanci, che a causa della precocità fisica delle ragazze sono, a quest'età, molto più tesi nel softball che nel baseball. Non temete ragazzi, verso i 14/15 anni vedrete "bombe" così scendere anche dai vostri "monti").

Le due partite della finalissima hanno vissuto di questi limiti:
le due-lanciatrici-due del Milano, sempre al limite del numero di inning regolamentare, senza possibilità di rotazione, fra l'altro dimezzate da infortuni e acciacchi (eh, l'età avanzata... oltre alle palline sugli stinchi dai battitori avversari), sono state sovrastate da roster avversari con quattro o cinque lanciatrici disponibili. E l'attacco ha colpito poco (un problema cronico dall'inizio dell'anno) e, in base, non ha avuto le "malizie" di squadre che giocano di più, e giocano sempre e solo a softball, usando quindi di più le rapide partenze sul lancio e l'aiuto dei bunt.

Il solito paio di pasticcetti della difesa (due prese al volo facili uscite dal guanto in seconda e all'esterno sinistro, e un paio di rotolanti che hanno infilato tre difensori... ah, ragazze... quante palle a terra ancora da fare in allenamento!) hanno aggiunto 5 o 6 punti non addebitabili al lanciatore al carniere delle avversarie
e, infine, un manager poco familiare con i giocatori "non softball" che usava ha mandato allo sbaraglio un paio di rubate all'inizio della prima partita, e ha poi preferito prendere atto della situazione e scommettere sui battitori, contribuendo a un esito che avrebbe potuto essere forse migliore contro Sala Baganza. Diciamo "avrebbe potuto" e non "poteva": allo stato delle cose, l'esito è stato quel che poteva essere.

"Avrebbe potuto" essere differente se dietro ci "fossero stati" mesi di lavoro diverso, più intenso e più unito, non interrotto dalla lunga pausa estiva, e magati un pochino più sereno e coordinato per i tecnici.
E' un avvertimento e un programma per il prossimo anno. Il divario 13 a 2 con Bollate invece era incolmabile, e un'amichevole di allenamento dieci giorni fa (10 a 0) ci aveva avvisati in proposito.

Allora erano mancati anche i due punti "della bandiera", che Sala Baganza non è stata capace di rifilare al Bollate, e dei quali invece noi stavolta possiamo essere fieri, grazie a Marzia, Chiara, Pablo e Maryezis, che in una rapida sequenza di toccate e corse azzeccate al terzo inning hanno mostrato la bandiera ai forti avversari,
impendendo che una partita segnata da 13 k su 21 battitori diventasse una passeggiata come era stata Bollate/SalaBaganza (sei k consecutivi, una sola base ball, una sola valida in una partita delle giovanili? Ouch... D'accordo, d'accordo, la lanciatrice partente e il rilievo erano le due ragazze scelte per la Nazionale lombarda, poi Italiana, poi Emea,che ha disputato le World Series Under 13 in agosto arrivando quinta nel MONDO. Battitori che hanno preso un K, vi sentite meglio, adesso? Lo avete preso da due delle 20 migliori lanciatrici under 13 del pianeta).

Quindi, in sintesi: tanto di cappello alle ragazze e ai ragazzi del Milano46 che hanno disputato questa finalissima e tirata d'orecchi a chi sabato sera si è mostrato deluso.

impossibile non citare con immensa gratitudine Clemente Alvarez, che per tutta la primavera ha "aggiunto una marcia" ai battitori e agli interni, non potendo intervenire sui lanciatori vista la sua squisita formazione baseball.


Oggi, per le ragazze è una vittoria, per tecnici dirigenti e genitori è occasione per riflettere.

Su se stessi.




Agli italiani non piace il baseball

Venditore di Hot Dogs in uno stadio americano


Fallimento di pubblico
, sogni infranti, rabbia e forse anche disperazione. Questi sentimenti sembrano affollare il poco spazio mediatico dedicato al baseball. C’è chi azzarda analisi tecniche, c’è chi invece vorrebbe prendere la Federazione e ribaltarla come un calzino.

La saggezza però ci viene dal puntare verso il basso e questa volta non ce ne dobbiamo vergognare: ascoltiamo le voci di chi vicino a noi guarda con sospetto il nostro sport, leggiamo tra le righe dei commenti che da anni siamo obbligati con tanta pazienza a sopportare.

“Baseball, gioco lento, gioco lungo, non m’interessa”. Lo Stivale sentenzia e lo Stivale incredibilmente ha ragione. O meglio, ha ragione in quanto stivale, ma ha torto a condannare in modo assoluto quello che comunque rimane uno degli sport più praticati al mondo.

Ma qua le cose sono diverse, anche se sarebbe utile andare a osservare con attenzione, prima di tutto, l’erba del vicino che sembra naturalmente più verde: scopriremo che di spontaneo c’è ben poco e il successo del baseball negli States è più figlio di un processo sociale che di un’opera di sapiente marketing.

Noi non siamo e non saremo mai (anche sforzandoci) gli Stati Uniti. Bella scoperta, ma questo in concreto cosa comporta? Analizziamolo a spanne (infondo nessuno di noi è laureato in sociologia).

Il popolo dello Stivale è geneticamente “slow”. Lo è nella cucina tanto quanto nel lavoro, nella famiglia (si esce di casa a trenta anni) quanto nelle tradizioni. Questo comporta un’inversione di tendenza nello sfogo del tempo libero: agli italiani piacciono le cose veloci, secche, poco ragionate e possibilmente risolutive.

Noi siamo quelli di Bartali o Coppi a sfida unica (questi due campioni battagliavano solo durante i Giri, mica ogni giorno, una formula che avrebbe fatto disaffezionare anche i più grandi appassionati di ciclismo).

Noi siamo quelli della marea di laureati in materie umanistiche e che non possono tollerare uno sport che si basa a metà su considerazioni puramente statistiche aritmetiche (che piaccia o no a chi invece pensa che il baseball sia solo battere una palla e correre verso una base) e per l’altra metà su un regolamento difficile da digerire per chi non mostra un minimo d’intelligenza matematica.

Noi siamo quelli dell’umiliazione secca: per noi o è rosso o è nero (e uno dei due deve perdere subito), i nostri Governi non potrebbero mai collaborare con una formula di coalizione. A noi poi piace infervorarci nel momento (la campagna elettorale) per poi perderci nel cronico disinteresse durante l’anno (figuriamo se riuscissimo a seguire centosessanta partite consecutive).

E questo è solo un assaggio. Un assaggio che però non ci deve far credere d’essere migliori o peggiori di altri, siamo semplicemente “diversi”.

Al contrario nell’America settentrionale la vita pare completamente ribaltata: si passa la giornata nel nome del “fast”. È veloce il pranzo, è veloce la cena, sono veloci le dinamiche di lavoro, è veloce pure la vita in famiglia (matrimoni e divorzi compresi), è veloce pure lavare la macchina e addirittura votare.

Questo spiega perché un popolo così fulmineo potesse eleggere uno sport lento a passatempo nazionale: il baseball rallenta la stressante vita americana (infondo, anche loro, ci mettono nove mesi a nascere) donando una benedizione, un piacevole sollievo (per contrasto) a gambe sempre in movimento, a mani sempre pronte a rispondere a cellulari e a stomaci campioni di allargamento per fare spazio (guarda caso) a pietanze già pronte in soli cinque minuti (mancasse che si perda tempo anche in cucina).

Il baseball là, tra una birra e un cane caldo, umanizza l’umano, rallentandolo.
Il baseball qua, tra uno sbadiglio e un pisolino, stona alla grande.
Che piaccia o meno.

Varie ed eventuali - ottobre

MLB: che spettacolo!



Che spettacolo. Quest'anno le fasi finali della stagione 2009 della MLB hanno dimostrato di poter essere il meglio che un fan di questo sport possa desiderare: partite combattutissime, colpi di scena, esclusioni clamorose, risultati assolutamente non scontati.

E adesso siamo a metà strada con la doppia sfida tra Yankees e Angels per la supremazia nell'American League e tra Phillies e Dodgers per quanto riguarda la National League.

Ecco i prossimi appuntamenti:




Da parte mia spero in una finale da sogno che possa vedere faccia a faccia i bombardieri del bronx contro gli attuali campioni del mondo. Un Phillies-Yankees sarebbe veramente un regalo per tutti noi tifosi.

Un finale di stagione comunque mozzafiato. Un finale d'annata da gustare anche se, come il sottoscritto, non si capisce niente di baseball. Emozioni assicurate per il fatto che una palla venga battuta e presa con un guantone, senza dover prendere una laurea in Scienze Statistiche.

La magia del baseball. Per tutte le menti.




MLB.TV: il difetto in tempo di carestia




La fame fa bruttissimi scherzi e il baseball non ne è immune: ogni modo per gustarcelo viene avidamente difeso a suon di dollari spesi e di levatacce per seguire la squadra del cuore in orari oltreoceanici.

Per i molti che non hanno Sky o che non vogliono dipendere dal palinsesto targato NASN l’unica ancora di salvezza (legale) per vedere la MLB è sottoscrivere un abbonamento annuale con MLB.TV che trasmette, sia in tempo reale sia in differita “on demand”, tutte le partite di tutte le squadre iscritte alla lega.

Avevamo già presentato l’offerta in tutti i suoi pregi, ma sarebbe anche il caso a conclusione del campionato 2009, di citare qualche problema che ha finito per deludere un po’ gli abbonati.

Primo su tutti citiamo la decisione, per me inconcepibile, di regalare ai non abbonati la visione gratuita dei Condensed Games, contenuto che era stato annunciato come esclusivo solo per chi avesse sottoscritto l’abbonamento.

Per noi europeri la visione intera/in diretta delle partite è quasi impossibile (a meno che non si lavori come metronotte) e quindi l’opzione Condensed Game (il riassunto in 15 minuti di tutta la partita tramite il sapiente collage di tutte le azioni) diventa necessaria, se non addirittura l’unica ragione per il quale pagare l’abbonamento.

Vederli distribuiti gratuitamente a chiunque non è stata una bella cosa, soprattutto se si conta anche l’inspiegabile assenza dell’audio della telecronaca che personalmente mi fa perdere i momenti salienti ed esaltanti del classico “what a play” o del “Seeee ya.

In più, ma questo l’ho solo captato da altri utenti (io non ho sottoscritto la versione “Premium”) mi pare d’aver capito che i requisiti tecnici per far girare la baracca come si deve (leggasi in alta definizione) sono molto alti e richiedono l’utilizzo di un computer comunque di nuova generazione.

Ovviamente, per correttezza, bisogna anche dire che l’abbonamento “base” portato alla massima qualità non è per niente malvagio e può essere retto egregiamente anche da una macchina vecchiottella come la mia (Centrino, Pentium, 1,70 GHz, 1 giga di RAM), ovviamente mettendo in conto lo sforzo della ventola di raffreddamento.

Altri problemi minori (soprattutto qualche ritardo qua e là nell’aggiornamento degli archivi) ci sono stati, ma alla fine non vanno ad inficiare il computo finale che vede MLB.TV come un servizio tutto sommato utile, economico (per l’offerta garantita) e molto emozionante (vedersi in diretta una partita ti fa sentire un po’ un privilegiato).

E poi, nonostante tutti i problemi, quando si ha fame non si guarda più di tanto nella bocca del cavallo donato. Lo si trangugia e basta.

martedì 1 settembre 2009

Taca la baleta - Settembre

La base che va in finale!


Esultanza dopo la vittoria - foto tratta da milanobaseballjunior.it



Dal silenzio ecco arrivare un vociare flebile che si fa urlo di gioia.
Nel mentre non sappiamo niente sul futuro della franchigia milanese, ecco che "la parte bassa della piramide" ci rende felici e orgogliosi.

Le ragazze del softball hanno passato le semifinali e si sono garantite un biglietto per le finali che le vedranno fronteggiare corazzate di tutto rispetto come il Bollate, il Nettuno e le parmensi del Sala Baganza (da quanti secoli non si sentiva il nome "Nettuno" affiancato in una finale a quello del "Milano 1946"?)

Una capriola che rende verde una stagione di una società: dove le previsioni erano tutte negative, ecco che delle semplici ragazze non hanno dato ascolto ai pronostici ribaltando a loro favore il destino.

Perchè è proprio vero che in questo caso il destino non si subisce, ma si crea.
E queste ragazze creano speranza e gioia.
Un tesoro in tempo di magra.

Brave ragazze!






Softball amatoriale: ora di finali





Avevamo introdotto l'argomento qualche settimana fa. A Milano e dintorni s'aggirano strani atleti che, pur non appartenendo alle squadre più conosciute e agonistiche del territorio, hanno grinta e voglia di divertirsi.

Si dice "amatoriale" e spesso si intende male: pare essere una passione dopolavoristica e invece molte volte queste squadre vanno a raccogliere ottimi atleti e atlete che per un motivo o per un altro non sono riusciti ad iscriversi al campionato agonistico nazionale di baseball o di softball.

Quindi, in poche parole, bando alle ciance di chi crede che il softball amatoriale sia lo stadio più basso del gioco sul diamante e avanti tutta verso il prossimo evento che si terrà in quel di Lodi questa domenica, 27 settembre.

Le finali del campionato in questione vedranno in scena, su diversi campi, tutte sfide dirette per completare la classifica. Ogni partita verrà giocata al meglio dei 7 inning con un limite massimo di due ore di gioco. Questo è il programma dettagliato:

9.30 - CAMPO2 - Finale 11°/12° posto - Old Lions Settimo - Typewriters Novara.
9.30 - CAMPO3 - Finale 13°/14°/15° posto - Saronno EX - ENI Sannazaro.
11.30 - CAMPO1 - Finale 7°/8° posto - ABNormal - BSC Milano.
11.30 - CAMPO2 - Finale 9°/10° posto - CUS Milano - Walls Bergamo
11.30 - CAMPO3 - Finale 13°/14°/15° posto - Tatanka - Saronno EX.
13.30 - CAMPO1 - Finale 3°/4° posto - Caribe Bergamo - Very Old Lions.
13.30 - CAMPO2 - Finale 5°/6° posto - ABC Cernusco - Santo Domingo Desio
13.30 - CAMPO3 - Finale 13°/14°/15° posto - ENI Sannazaro - Tatanka.
16.00 - CAMPO1 - Finale 1°/2° posto - Brozzo Valtrompia - Dominican Bulls

Insomma, una giornata di sfide e di festa, ottima da spendere per conoscere una realtà, quella amatoriale, alle volte troppo ignorata e ancora di più poco pubblicizzata.

Ci sono anche loro.
E si faranno sentire.
Vinca il migliore.




Mayday mayday: chiediamo notizie





Il popolo parlò pronunciando la sola ed unica parola in un mare di silenzio.
Sembra che dalla sponda United del naviglio non si voglia rilasciare news.
Dura lex.

Se però i nostri lettori hanno fatto ben capire (61%) che nessuna delle squadre da noi indicate avrebbero preso parte al progetto franchigia, c'è un numero comunque interessante (23%) che vede nel Lodi un futuro compagno d'avventura per lo United. A chiudere le preferenze c'è chi (15%) prospetta un probabile accordo con il Codogno.

Purtroppo non possiamo, a distanza quasi di un mese dal misterioso annuncio sul sito del Milano 1946, dare la risposta giusta al nostro sondaggio.

Ci dispiace molto che il resto del mondo non venga informato dei passi che una cosa così importante come la franchigia compie. Di certo nessuno pretende di entrare in presa diretta nelle stanze dei bottoni, ma qualche indizio, qualche simpatica curiosità, qualche punto fermo forse ce lo meriteremmo. Se non altro per donarci speranza dopo una stagione chiusa malissimo.

Intanto, sempre per non lasciare i lettori a bocca asciutta, ricordiamo che i lavori al Kennedy sono finiti. E anche in questo caso sembrano ricalcare perfettamente la stagione dello United: non dovevano finire così.

I soldi impiegati sul terreno di gioco sono stati esclusivamente tirati fuori dallo United, senza (pare) nessun intervento economico da parte del Comune di Milano.

Quindi (sempre da quanto abbiamo capito) è stato rifatto solo il campo. In attesa c'è la sostituzione delle lampade e la ricollocazione di nuove reti. Il resto, in mancanza di un investimento pubblico, pare che verrà lasciato così.

Di certo, come oramai è scontato dire, meglio qualcosa che niente.
Anche se, ancora rispettando la tradizione dei detti del baseball meneghino, non ce lo saremmo mai aspettati.




Piuttost che nient, l'è mei piuttost






Ci ascoltano, o meglio a noi piace pensarlo.

Avevamo chiesto che fossero tolte le retrocessioni per dare vita a campionati "chiusi" in stile statunitense (leggasi, se hai soldi partecipi alla serie che ti compete) e pare che la FIBS abbia scelto di togliere per quest'anno i playout della Serie B.

Ovviamente non per le motivazioni che noi avevamo sottolineato (insensatezza a fronte di ripescaggi e danno per chi potrebbe con più tranquillità costruire vivai), ma per un allargamento futuro della Serie in questione.

Siamo sinceramente contenti per questa automatica salvezza dei nostri dell'Ares, anche se, ovviamente, pretendiamo già da ora che si faccia di più e sempre meglio in vista della prossima stagione.

Noi, nonostante questa inaspettata benedizione, non dimentichiamo.
Come gli elefanti!





Un lancitatore sul tetto...della fabbrica


Screenshot preso dal sito milano.corriere.it


Tempo di crisi per le aziende e tempo di lottare per il proprio posto di lavoro, per il proprio futuro e per quello della propia famiglia.

Tra le proteste che in questo periodo hanno portato manifestanti a salire su macchinari, monumenti e tetti registriamone una alla Metalli Preziosi di Paderno dove il lanciatore del Senago Milano United, Andrea Sala lavora.

Il coraggioso pitcher, con tanto di cappellino della squadra, insieme ad altri quattro colleghi s'è arrampicato sul tetto dello stabilimento sfidando freddo e pioggia, protetto solo da una tenda e dal tifo di un centinaio d'operai fuori dai cancelli.

Per approfondire, eccovi l'articolo apparso sul Corriere Milano.

Ovviamente, indipendentemente dalle ragioni sindacali, vogliamo esprimere tutta la nostra vicinanza a Sala che, ancora una volta (se non bastasse il duro lavoro del lanciatore), ha dimostrato d'avere caparbietà, coraggio e voglia di perseguire i propri obiettivi.

Resistere, che sia su di un monte o su di un tetto.
Noi siamo con te.




Il silenzio di Milano




C'è il silenzio degli innocenti, c'è il silenzio dei prosciutti e c'è chi dice che il silenzio sia placcato d'oro (e sta nella bocca del mattino). Noi sappiamo solo che il silenzio, a Milano, è il suono costante dalla fine (prematura?) del campionato fino alla sua ripresa l'anno sucessivo.

C'è però un grasso e grosso però: nel silenzio più generale si rischia di perdere notizie che potrebbero quantomeno tirare su il morale a chi (ultimamente, sventurato) ha deciso di tifare baseball (e affini) a Milano.

Le ragazze del softball giovanile del Milano 1946 sono riuscite ad acciuffare i playoff del loro campionato, playoff che si svolgeranno al Kennedy (versione ridotta e funzionante) contro il Forlì e la Sanremese.

Segnatevi questa data, venti settembre duemilanove: curiosità, amore del gioco, niente altro da fare, tirare su il morale che ora è sotto le suole delle scarpe. Mettetela come volete. Queste ragazze hanno bisogno di voi.

Sveglia Milano.
Svegliati, anche se non è primavera.




Ares...mah, forse, boh...




Avrei scritto tanto, ma un computer indomabile (non gli è bastata una sonora formattazione) ha cancellato completamente il mio lavoro. Ma da questi avvenimenti si può imparare, si può imparare che scrivere alle volte è inutile.

L’Ares, nonostante l’orgogliosa battaglia in Gara2, s’accinge a chiudere il campionato portando a casa un’altra doppia sconfitta. Una stagione piena d’esclamazioni possibili, appunto.

Forse, come forse è arrivato il momento della svolta. È indubbio infatti che i vertici della squadra del Saini stiano lavorando per cambiare connotati alla squadra. Un lavoro che però, come comprensibile, è lungo e molto faticoso. Un lavoro che di ristrutturazione che dovrà vertere sul consolidamento di ciò che di buono si ha e l’ampliamento verso quello che ancora deve arrivare. E in quest’ultima categoria ci metterei di diritto almeno tre pitchers di media bravura che potrebbero consegnare ai rossoblu un posto al sole tranquillo di metà classifica nella prossima stagione, quantomeno, se non in attacco, almeno nel reparto difensivo dove meno palle arrivano, meno errori si commettono (e questo vale per tutti, fino alla Major League).

Mah, è un’esclamazione per una stagione che non doveva andare comunque così. O almeno nella mia fantasiosa testa che aveva già immaginato una sfilza incalcolabile di pareggi. Questo non è avvenuto. Necessario per l’anno prossimo il rinnovo di Francesco Parisini con la speranza (almeno per l’Ares) che non voglia accasarsi al sole della serie A2.

Boh, è quello che mi sento di dire davanti a un’incomprensibile struttura dei campionati italiani. Infatti se le cose dovessero rimanere così, il Porta Mortara sarebbe direttamente retrocesso e il Lodi si vedrebbe arrivare proprio l’Ares per una sfida nel tentativo di rimanere nella serie cadetta.

Ora, alla luce dei numerosi ripescaggi visti negli anni (United, Novara, Lodi e chi ne ha più ne metta) che senso ha mettere ancora in atto retrocessioni di squadre che (magari) hanno la piena possibilità economica di rimanere (a lungo) nella serie di provenienza?

Allora perché non chiudere i campionati (né retrocessioni, né promozioni) e ammettere solo squadre che possono garantire economicamente la permanenza nella serie? Così, senza il fiato sul collo, ogni squadra (come in MLB) sarebbe messa in condizione di sviluppare la propria farm e così evitare di dover sempre spendere soldoni dietro ASI e non ASI. Massimo si sta per anni all’ultimo posto. Peggio (se non finire i soldi) non può accadere.

Allora che senso hanno i playout? Che senso hanno le retrocessioni?
Mah…forse…boh



Il lato nascosto di Milano




Fare della poesia giornalistica alle volte è così semplice: si prende un argomento, si colgono gli aspetti comuni e li si esalta donando loro un'aura di magia e di grandezza.

Questo però è troppo semplice per raccontare questa storia.

Una realtà che non necessita esaltazione in quanto naviga nella semplicità più assoluta: esiste un campetto da softball ai margini del Parco Nord di Milano (e chi lo sapeva...), esiste un gruppo di ragazzi, ragazze, giovani e meno giovani che con un giro di mail si danno appuntamento in questo fazzoletto d'erba (oramai bruciata da un'estate torrida) dopo una giornata di lavoro o di studio.

Sono entrato, in poche parole, nei meandri di quel sottobosco silenzioso e poco appariscente del baseball milanese (massì, diciamo così, anche se stiamo parlando poi di softball).

La società incontrata in questo angolo bucolico, non lontano dai limiti estremi della città di Milano, è la B.S.C Milano che da non poco tempo si occupa di gestire questo diamante e di renderlo accessibile anche a molti ragazzini che con le scuole s'avvicinano al parco prima, dopo e durante l'estate.

Un'attività così importante tanto che stanno lavorando proprio per mettere in piedi una squadra giovanile da affiancare alla già presente (e affiatata) squadra amatoriale di softball, una delle non poche esistenti sul territorio milanese (e dintorni).

Arrivato per incontrare questi ragazzi (ma con un guantone nello zaino) eccomi invitato subito a fare due lanci mentre mi spiegano che con poco più di sessanta euro annui chiunque può unirsi a questa società per sgranchirsi dopo una giornata di lavoro.

L'unica pecca (cosa che si dovrebbe risolvere istituzionalmente riuscendo ad unire il rispetto delle regole del parco con la necessità sportiva) è la mancanza di spogliatoi e bagni per questi atleti.

Ma questo non sembra proprio fermarli: giovani, meno giovani, italiani, sudamericani, tutti serenamente impegnati a fare delle proprie ore libere qualcosa che fa del bene non soltanto alla salute.

Risultato?
Un pomeriggio divertente.
In una Milano del baseball del tutto sconosciuta.





Precisazioni






Alle volte sono dovute, altre volte meno.
Visto che, senza volerlo, alle volte non si viene capiti, è meglio specificare brevemente ciò che scrissi nell'ultimo post di Agosto.

1)Quando dissi l'allenatore del Senago-Milano United è stato "licenziato" per fare posto al manager che da progetto avrebbe dovuto guidare la squadra già la scorsa stagione.

- Ovviamente questo è un mio personalissimo parere (quindi è un mio personalissimo ragionamento) in quanto una nuova squadra avrebbe dovuto avere un nuovo allenatore (sempre per come la penso io) e, oltretutto, Alvarez era stato assunto a tempo pieno per occuparsi dell'aspetto tecnico di tutta la franchigia. Quindi, sempre secondo me, avrebbe trovato un senso compiuto alla guida solitaria dello United.

- Il termine "licenziato", è volutamente stato usato tra virgolette per abbreviare (sempre mantenendo il senso "altro" rispetto al termine) il fatto che per lui era scaduto in maniera più che naturale il mandato. Mi scuso se mai qualcuno non avesse capito il senso del virgolettato.


2)Quando scrissi Ed ecco che la stampa bloggheriana di casa seneghese...

- Non era mia intenzione alludere ad un senso dispregiativo usando il termine "bloggheriana" (lo siamo noi, lo sono loro) e nemmeno allusorio per "casa seneghese". Questo blog ha, anche negli ultimi momenti critici, sottoscritto pienamente il valore del progetto franchigia, quindi il tutto non è da leggere come quasi (volutamente tra virgolette) "campanilismo dall'alto in basso".

Duole dover specificare, ma la chiarezza evita spesso incomprensioni.
E le incomprensioni evitano spesso tensioni.
Dove le tensioni, ora come ora, non ci dovrebbero essere, anzi.




Ares e quel gusto d'autunno




Jimmy Calzone sul monte © Bizzini Francesco


Non temete, questa volta non ci riferiamo alle sconfitte della squadra del Saini paragonandole alla stagione che segue la calda e rilassante estate. Almeno non oggi. Almeno non ora.

L'Ares batte il Cagliari (che essendo senza campo giocava in casa proprio a Milano) consistentemente nel primo incontro per poi perdersi nel turbinio degli errori (praticamente una sagra di bloopers) nella sfida pomeridiana che si conclude con un amara sconfitta per manifesta inferiorità.

Qualcosa di positivo comunque s'è visto: mazze abbastanza tintinnanti e un monte di lancio che, nonostante sia costantemente affaticato, ha dato il meglio di quello che poteva dare (da sottolineare la prova di coraggio e di forza di un ancora buon Jimmy Calzone).

Ma la storia, come detto, s'è persa nei meandri delle papere in fase difensiva. Basti immaginarsi che pure il sempre attento Parisini s'è reso protagonista di una di queste.

Insomma, una domenica da non buttare via, ma che poteva essere una doppietta se solo si fosse usata un po' più di precisione sul diamante.

Cambiando discorso, l'autunno è arrivato però sugli spalti. E non stiamo parlando di qualcosa legato all'improvvisa caduta delle temperature milanesi (ieri infatti faceva proprio freschino), ma di un freddo che oramai percorre le ossa di un po' tutto il movimento meneghino.

Chiacchierando con un po' di gente sugli spalti questo è apparso inequivocabile, la consapevolezza oramai diffusa del malessere che da tempo attanaglia il corpo di questa già precaria macchina che un tempo però raccimolò tanti successi.

Milano e il suo baseball (ma non solo, visto la situazione italiana), qualcosa nel quale è difficile formulare sogni e progetti.

Unica nota positiva nel più profondo disincanto è il riconoscere che, almeno sulla carta e con tutti i "se" e i "ma" possibili, il progetto della franchigia è comunque un bene per il movimento.

Una certezza quasi solare che spacca un po' questo grigio quasi settembrino.

Varie ed eventuali - settembre


Il senso dell'amatoriale



Il logo del sito del CUS Milano - www.cusmilanosoftball.it



Sembrerà una mania la mia, ma vi assicuro che non è così.
Avvicinandomi piano piano alla realtà "amatoriale" del softball regionale ho potuto sviluppare delle osservazioni che vorrei condividere.

Prima di tutto sul senso del termine "amatoriale": secondo logica dovrebbe essere ilcontrario di "agonistico", cioè dove, detto per riassumere, la competività, il vincere a tutti i costi, lasci il posto alla "partecipazione prima di tutto" per il solo piacere di partecipare spendendo ore insieme ad altri "amatori" della disciplina.

E'oramai ovvio, o almeno per quel poco che ho visto, che le cose stanno ben differentemente.
Tutto risiede "negli inquilini del piano superiore", cioè il campionato agonistico.

In questo campionato, per motivazioni legate al regolamento federale, non possono iscriversi più di un tot di non italiani (stranieri, che brutta parola) e così a quest'ultimi non resta che riversarsi (in massa) sul reparto "amatoriale".

Solo che questi centroamericani non sono mica gli ultimi arrivati: provengono da nazioni dove il baseball e sport nazionale, hanno un livello tecnico molto alto e una propensione al baseball/softball assolutamente innata e abbastanza competitiva.

Questo va a creare, secondo me, una realtà "amatoriale" del tutto fuori fase. Dove le squadre dovrebbero riempirsi di giocatori sì, ma sul viale del tramonto, genitori, sportivi fuori forma, curiosi, simpatizzanti, invece si vedono arrivare addosso vere e proprie corazzate di giocatori con i controfiocchi che, incontrando gli esempi sopra elencati, li castigano a suon di fuoricampo e manifeste.

Adesso, capiamoci, se uno lo fa per divertirsi, ci si diverte anche ad essere massacrati, basta che le note siano quelle della sinfonia scelta, cioè il softball.

Certo che però, sempre per chi crede che perdere non sia sempre bello, questo poi potrebbe portare le altre squadre "normali" a volersi dotare, proprio per evitare d'essere spazzate vie costantemente, anch'esse di assi centro-sudamericani o di giocatrici fuoriuscite fresche fresche dall'attività agonistica nel campionato nazionale femminile di softball (altri elementi preparati e di certo non "amatoriali").

E allora ecco che l'atleta non più in forma, il curioso che vuole provare, l'appassionato in là con gli anni si sente, in questo caso sì, straniero in terra straniera.

Una soluzione purtroppo non c'è. O meglio ci sarebbe, forse. Creare un campionato AGONISTICO regionale aperto anche a chi non è italiano, in modo da dare serietà e competizione a chi merita veramente questi due elementi.

E il resto lasciarlo agli amatori.
Quelli fuori forma, quelli non bravi, quelli che vogliono solo divertirsi.
Quelli che l'importante è veramente solo partecipare.

Partecipare sì....se ti fanno vedere la palla.





La cipria oriunda






Premessa: non amo fare discorsi discriminatori, nè mi sognerei mai di imbarcarmi in questioni politiche che ultimamente vanno per la maggiore sui media nazionali.

Parlando con diverse persone appassionate di baseball italiano però la questione sembre essere la solita. In pochi capiscono il senso d'infarcire il nostro già umile sport di acquisti stranieri a discapito di una politica di sviluppo dei nostri vivai.

Si contesterebbe che il livello tecnico s'abbasserebbe oltremodo. Ma a questo si potrebbe ben rispondere con una vistosa alzata di spalle in quanto, secondo me, non c'è peggior cosa di volere essere ciò che non si è.

Se le squadre delle serie minori accettassero la realtà (tanto non si va comunque da nessuna parte, anche se si raggiunge la serie massima) e per prime abbandonassero la politica di infarcimento delle proprie linee con giocatori non italiani (o comunque non residenti sul territorio) forse qualcosa cambierebbe.

Se Milano ha da dare 3 con i propri vivai....dia 3...se Piacenza può dare 6, dia 6. E intanto ognuno lavori per migliorare la situazione. Non so se ci siamo capiti.

Sennò la soluzione è sempre la solita: soldi su soldi (non sempre garanzia di successo) per incipriarsi un naso che nessuno comunque vuole vedere (quanta gente viene a vedere le partite di baseball in Italia?) strozzando vivai che invece, anche se meno funambolici (ma questo è tutto da vedere) porterebbero il baseball nazionale a fare i conti con le proprie forze e i propri limiti.

L'oriundo crea una coscienza, secondo me, distorta quando ora come mai servirebbe invece guardare in faccia la nuda e cruda realtà.

Con permesso.